Per disfagia s’intende un sintomo – se avvertita dal paziente – o un segno clinico – se ravvisata dal clinico, concernente la difficoltà nel far progredire il bolo alimentare dalla bocca allo stomaco. La disfagia può essere il risultato di varie menomazioni neurologiche e/o strutturali, di traumi a livello di capo e collo, incidenti cerebrovascolari, malattie degenerative neuromuscolari, neoplasie della regione testa-collo o del distretto mediastinico, demenza e encefalopatie. Nella maggior parte dei casi la disfagia interessa alterazioni della cavità orale, della faringe, dell’esofago, o dello sfintere gastroesofageo.
La prevalenza della disfagia è piuttosto elevata, soprattutto con riferimento a certe categorie di pazienti. E’ presente, in effetti, in oltre il 30 % dei pazienti con ictus, in 52 – 82% dei pazienti affetti da Parkinson, in 84% dei pazienti con malattia di Alzheimer.
L’incidenza della disfagia incrementa in particolare con l’invecchiamento quando si verificano modificazioni naturali a livello dall’anatomia del capo e del collo e nei meccanismi fisiologici e neurologici alla base della deglutizione. Di fatto, la disfagia si registra in oltre il 40% di anziani di età superiore a 65 anni e in 60% dei pazienti anziani istituzionalizzati. I cambiamenti di cui sopra vengono definiti presbifagia, e includono tutte quelle alterazioni dei meccanismi della deglutizione che avvengono in anziani altrimenti sani. La progressione di tali modificazioni porta alla riduzione della funzionalità residua (capacità di adattamento allo stress), rendendo la popolazione anziana più suscettibile di disfagia. Altra ragione che correla l’invecchiamento con la disfunzione deglutitoria è che la disfagia è una comorbilità di molte patologie correlate all’età e/o dei loro trattamenti farmacologici.
I segni e sintomi della disfagia, quando evidenti, sono:
- tosse durante o dopo la deglutizione
- assenza di tosse volontaria o del riflesso
- assenza deglutizione volontaria
- eccessiva lentezza nell’assunzione dei cibi
- presenza di residuo di bolo nelle fauci
- fuoriuscita di alimenti o liquidi ai lati della bocca o dal naso
- perdita di peso o disidratazione
- aumento della temperatura corporea
- disfonia o voce gorgogliante
- frequenti infezioni polmonari
- schiarimenti di voce frequenti
- lingua protrusa
- “drooling” o falsa scialorrea per impossibilità a deglutire la saliva
- fastidio o dolore alla deglutizione
Le principali conseguenze della disfagia sono:
- nutrizionali: malnutrizione proteico calorica, disidratazione e scompensi idroelettrolitici, deficit di micro e macro nutrienti, diminuzione delle difese immunitarie.
- respiratorie: penetrazione nelle vie respiratorie, aspirazione tracheobronchiale , soffocamento, polmoniti ab-ingestis, che possono portare a morte. Oltre il 30% dei pazienti con disfagia presenta aspirazione tracheobronchiale, metà dei quali senza tosse (aspirazione silente), il 45% ristagni in oro-faringe e oltre il 55% dei pazienti con disfagia sono a rischio di malnutrizione.
- sociali: la disfagia è un vero e proprio handicap che porta alla riduzione di attività e sociali e relazionali ed al conseguente peggioramento della qualità della vita come espressione di riduzione di autosufficienza, autostima, sicurezza, capacità lavorativa e svago.
Nonostante l’elevata incidenza e prevalenza e l’enorme impatto sulle capacità funzionali, sulla salute e sulla qualità di vita del paziente affetto, la disfagia è tuttora sottostimata e sotto diagnosticata. Per quanto riguarda gli interventi sul paziente disfagico, è presente un’ampia variabilità delle modalità di approccio alla problematica derivante dalla mancanza di riferimenti standard per la valutazione e dalla scarsa disponibilità di studi, oltre che dall’insufficiente personale qualificato nelle diverse strutture.
E’ importante sottolineare che il processo di gestione della disfagia è complesso e costoso e richiede, sia nella fase diagnostica che in quella terapeutica un approccio di team e la collaborazione di un’ampia rete di esperti, costituita da medici specialisti e da altro personale sanitario nonché le strutture e le attrezzature dedicate (strumentazione diagnostica, aspiratore, materiali di gestione ed altro).
Con riferimento al riconoscimento dei soggetti a rischio, le prime figure di riferimento sono il medico di medicina generale per i pazienti domiciliari ed il personale sanitario del reparto (infermiere, medici) per i pazienti ricoverati. Dato che la disfagia interessa differenti apparati (digestivo, respiratorio, muscolo-scheletrico, nervoso), la sua gestione comporta il coinvolgimento di numerose discipline (Nutrizione clinica, neurologia, fisiatria, otorinolaringoiatria, pneumologia, gastroenterologia, geriatria, radiologia, ) e di diversi professionisti esperti nel percorso gestionale (medici di medicina generale, medici specialisti, infermieri, dietisti, logopedisti, foniatri, fisioterapisti, operatori socio-sanitari, personale della cucina). Un ruolo di gran rilievo nel riconoscimento e nella gestione della disfagia, hanno anche i caregiver .
La gestione del paziente disfagico si basa innanzitutto su una adeguata diagnosi e terapia delle cause che hanno determinato la disfagia.
Parallelamente però, va sviluppato il piano di cura individualizzato che può includere due principali assi di intervento o, come spesso avviene, la combinazione di essi:
- Riabilitazione logopedica (esercitazione sulle tecniche di compenso e altre tecniche terapeutiche compensative)
- Dietoterapia con diete a consistenza modificata
Le modificazioni dietetiche che, a seconda della diagnosi e della gravità del sintomo possono variare dall’alterazione della consistenza o della vischiosità del cibo e dei liquidi fino alla Nutrizione Enterale tramite il sondino naso gastrico (SNG) o la PEG, o tramite Nutrizione Parenterale, richiedono l’intervento di figure professionali di (Medico Dietologo e Dietista) altamente specializzate in questo settore che potremmo definire “ultraspecialistico”.
Le diete per disfagia vengono elaborate seguendo la moderna classificazione internazionale “IDDSI – International Dysphagia Diet Standardisation Initiative”
E’ determinante per il successo della terapia il coinvolgimento dei caregiver e degli stessi pazienti che dovrebbero essere adeguatamente formati sulla gestione della disfagia. In particolare, il loro contributo è determinante nelle fasi di preparazione degli alimenti, per il monitoraggio della quantità e della tipologia di cibo e di liquidi assunti giornalmente e per l’assistenza durante i pasti ai soggetti non in grado di alimentarsi autonomamente. I caregiver devono essere formati non solo per aiutare il paziente non autonomo ad assumere le posture che riducono il rischio dell’aspirazione ma anche per poter intervenire nel caso di aspirazione. Infine, il paziente disfagico deve essere sottoposto alle periodiche rivalutazioni per un’eventuale reimpostazione ed adeguamento del piano terapeutico